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Il pianeta dei frigoriferi - 1a Parte

Intervista all’Autore

Abbiamo conosciuto Mauro Balboni con il suo primo libro, Il pianeta mangiato. Lo ritroviamo adesso con il suo nuovo lavoro: Il pianeta dei frigoriferi. Segnali dal futuro del cibo (Scienza Express, maggio 2022).

D. Allora, Mauro: di cosa parla e perché questo titolo?

R. Il pianeta dei frigoriferi. Segnali dal futuro del cibo è un viaggio alla ricerca di segnali che ci consentano di capire che cosa realmente mangeremo nel 2050, e come lo produrremo. Alcuni trend sono già perfettamente visibili, altri meno. Alcuni richiedono una certa immaginazione per vederne un’applicazione di massa. Perché i frigoriferi nel titolo? Perché non esiste elettrodomestico che abbia avuto maggiore impatto sul nostro stile alimentare. Ebbene, ci abbiamo messo un secolo per arrivare al primo miliardo di frigoriferi; ma non è certo finita qui: il secondo miliardo si sta aggiungendo esattamente ora, nel volgere di pochi anni. Infatti se lo stanno comprando in massa i nuovi consumatori del mondo in Asia e Africa; questo sta causando il cambiamento finale nella geografia agroalimentare del mondo. Aumentando la pressione sulle risorse necessarie a produrre il cibo, come acqua e terra fertile.

D. Che bisogno c’era di un libro su questi temi?

R. Nel dibattito sul futuro del cibo c’è urgente bisogno di resettare sia il tipo di argomenti sia il tono con cui vengono trattati. C’è un solo modo per farlo: ripartire dai dati e dalle statistiche. Dobbiamo avere una descrizione realistica e affidabile di dove sta andando il mondo, se vogliamo cambiarlo. Faccio un paio di rapidi esempi. Dal 1960 ad oggi, secondo FAO e Banca Mondiale, la quantità di terra agricola a disposizione di ogni essere umano si è dimezzata. Nello stesso lasso temporale, un’enorme entità come la Cina ha raddoppiato la disponibilità calorica pro capite dei propri cittadini (da 1500 a 3000 kcal giornaliere, poco sotto quella americana e europea). Ad inizio 2022, la stessa Cina deteneva oltre metà degli stock mondiali di cereali. Al contrario, qui in Europa, nella nuova strategia agricola comunitaria (la nota Farm to Fork) si pensa a produrre di meno per unità di superficie. I casi sono due: o i cinesi esagerano o noi abbiamo perso contatto con la realtà.   

D. Qual è il problema di fondo?

R. Da una parte una combinazione di eventi che sta causando una crescita della domanda globale di cibo che non ha precedenti nella storia umana: la crescita demografica, che continua al ritmo di 80 milioni di nuove bocche ogni anno; il più massiccio esodo rurale della storia, con relativa urbanizzazione (3 milioni di persone che lasciano le campagne per sempre, da qualche parte nel mondo, ogni settimana!); la crescita del reddito disponibile alle famiglie in interi continenti fino a pochi anni fa lasciati indietro. Questi fenomeni stanno avvenendo su una scala e a una velocità che non ha precedenti e stanno cambiando l’alimentazione globale. Dall’altra parte, però, come esempio di varie altre criticità, il drammatico fenomeno del calo della terra agricola a disposizione di ogni essere umano: come detto, è dimezzata dagli anni ’60 ad oggi. Questo genera già tensioni. Non a caso, uno dei capitoli del libro si chiama La fame di terra.

D. Non abbiamo altre riserve di terra disponibili per nuove colture e allevamenti?

R. Gran parte della terra migliore esistente sul pianeta è già stata messa a coltura nel corso della storia. Oggi siamo a circa un miliardo e mezzo di ettari coltivati (50 volte l’intera superficie italiana, per capirci). Secondo varie stime, resterebbero non più di altri 400 milioni di ettari adatti all’agricoltura. Ma ecco il problema: sono principalmente sotto ecosistemi forestali intatti, o quasi, in Sudamerica, Africa e Asia sudorientale. Proprio quelli che, firmando un trattato dopo l’altro, ci siamo impegnati a salvare per mitigare il cambiamento climatico e salvare quanto resta della biodiversità. È vero che ci sono enormi superfici a pascolo, in gran parte ad allevamento estensivo o usato per pastoralismo di sussistenza: ma si tratta di ecosistemi che sono rimasti a pascolo proprio perché difficili o impossibili da coltivare, nei quali l’allevamento è stato l’unico modo per ricavare calorie edibili. No, non abbiamo nuove frontiere da dissodare; dobbiamo produrre più cibo con la terra che abbiamo. Produrre di più con meno e in modi più intelligenti: un tema che oggi affiora continuamente e non solo in riferimento al cibo.

D. Raccontaci in sintesi i temi principali sui quali verte il libro.

R. Quasi scherzando (ma in realtà è argomento serissimo, visto per esempio l’uso e abuso di informazioni che è stato fatto con il Covid 19), possiamo proprio dire che Il Pianeta dei frigoriferi è «in missione per conto di dati e statistiche». Indispensabile: in un dibattito, come quello sul cibo, orientato da storytelling e aneddoti spesso affascinanti ma non sempre basati su dati solidissimi. Per prima cosa il libro si occupa di mettere in chiaro le grandi tendenze già in atto e che non faremo sparire con una bacchetta magica: l’enorme crescita della domanda globale di cibo (trainata ora dall’Asia); la pervasiva presenza della grande industria alimentare nel determinare anche le nostre scelte “alternative” (dal vegan al bio) ormai elementi non più di “rivoluzione” ma di segmentazione di marketing; la già ricordata diminuzione drammatica della terra agricola se misurata per ogni essere umano; il cambiamento climatico. Poi passa a raccontare alcune delle opzioni che animano, e spesso infiammano, il dibattito: le proteine animali e la loro sostituzione; l’intensificazione agricola sostenibile attraverso la rivoluzione digitale; lo spostamento della produzione vegetale nell’ambiente costruito (variamente chiamato indoor o verticale).  

D. Quanto tempo abbiamo per risolvere i problemi da te evidenziati?

R. Poco. E questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a scriverlo. I fattori sociali ed economici visti prima sono inarrestabili: non si vede traccia di felice frugalità alimentare di massa, di ritorni alla campagna, ecc. La domanda globale di cibo è e rimarrà in aumento per decenni. Quindi – semplificando un po’ – direi che il fattore determinante per i tempi sarà il cambiamento climatico, particolarmente in quelle aree del mondo dove si concentrano i fenomeni più negativi per la produzione agraria. E l’intero bacino del Mediterraneo è una di quelle con le previsioni peggiori. Personalmente, e lo spiego nel capitolo Figli di un cambiamento climatico, considero l’aumento di 1,5 gradi pressoché inevitabile e già entro la fine della prossima decade. Per resettare la nostra intera catena alimentare, questo significa che siamo vicini alla mezzanotte e dobbiamo prepararci velocemente a coltivare colture diverse, oppure colture conosciute ma con varietà adattate ad un clima diverso e con sistemi agronomici adattati al cambiamento. (continua)

 

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