Le cause
E’ ormai consolidata e diffusa la consapevolezza che il riscaldamento globale potrebbe risultare il più grave problema ambientale del nostro secolo: secondo le stime degli studiosi, in mancanza di provvedimenti, entro il 2100 il riscaldamento globale potrebbe superare i 5/6 gradi, mentre la quantità di anidride carbonica nell’aria potrebbe superare il doppio dei livelli massimi raggiunti negli ultimi 800.000 anni.
Senza escludere altre possibili concause, la responsabilità del riscaldamento globale è attribuita per lo più all’incremento dell’effetto serra causato dai gas – in particolare l’anidride carbonica – emessi dalle attività industriali dei paesi sviluppati negli ultimi 150 anni.
Le iniziative dell’ONU
Per fronteggiare l’emergenza del riscaldamento globale, nel 1992 è stato istituita la “Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCC), che organizza periodiche conferenze internazionali (COP) in cui vengono definiti gli impegni concreti dei singoli paesi per ridurre e in prospettiva azzerare l’emissione dei gas serra, utilizzando le tecnologie più avanzate per possibili opzioni di mitigazione e adattamento sulla base di
Nel 2015 si è svolta a Parigi la COP 21, conclusa con un patto fra i paesi partecipanti, detto “Accordo di Parigi”, che pone l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media globale (1) “ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali entro la seconda metà del corrente secolo”, impegnando i paesi sviluppati a svolgere un ruolo guida per il conseguimento degli obiettivi stabiliti e a fornire sostegno ai paesi in via di sviluppo per lo stesso scopo.
L’Accordo, che è entrato in vigore il 4 Novembre 2016, è stato ratificato, a oggi, da 184 delle 197 Parti della Convenzione Quadro.
L’ultimo rapporto dell’IPCC (del dicembre 2018) indica tuttavia la necessità di conseguire risultati ben più stringenti: obiettivo zero emissioni entro il 2050, anziché “nella seconda metà del corrente secolo”, e contenimento della temperatura globale entro un aumento massimo di 1,5°, anziché sotto 2° (2).
Ciò richiederà “ transizioni rapide e di ampia portata in terra, energia, industria, edifici, trasporti e città. Entro il 2030 le emissioni globali nette di biossido di carbonio (CO2) causate dall’uomo dovrebbero diminuire di circa il 45% rispetto ai livelli del 2010, raggiungendo lo zero netto intorno al 2050. Ciò significa che qualsiasi emissione residua dovrebbe essere bilanciata rimuovendo CO2 dall’aria.”
Le difficoltà del mondo sviluppato
I problemi più rilevanti per la de-carbonizzazione nel mondo sviluppato derivano dalla disponibilità di abbondanti fonti energetiche fossili (carbone, petrolio, gas) sulle quali nel tempo si sono consolidati intrecci di interessi difficilmente districabili fra i produttori di carbone, i produttori di idrocarburi, gli industriali, i consumatori e, non ultimi, i lavoratori.
Nel 2017 Trump si è ritirato dall’accordo di Parigi firmato da Obama per salvaguardare le centrali elettriche e le attività produttive degli U.S.A., che fanno largo uso del carbone e del petrolio.
In Polonia il presidente Andrzei Duda, in occasione dell’apertura dei lavori della conferenza sui cambiamenti climatici di Katowice (Cop 24), in una conferenza stampa congiunta con il segretario dell’Onu Antonio Guterres ha dichiarato che il suo paese “non può rinunciare al carbone”, una materia prima strategica che garantisce “la sovranità energetica” dei polacchi. Lo stesso atteggiamento si presenta in Germania, anch’essa ricca di carbone. In Francia si è vista la rivolta dei “gilets jaunes”, innescata dall’aumento di pochi centesimi al litro del prezzo della benzina.
Le possibili conseguenze sociali ed economiche di una de-carbonizzazione senza reti di protezione e compensazioni varie sono del resto facilmente intuibili: possibile aumento della disoccupazione, calo del PIL, stasi dell’economia, disordini sociali.
Esistono soluzioni alternative per rispettare l’impegno alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica prevista entro il 2030 e per azzerarle entro il 2050, come indicato nel rapporto dell’IPCC, ammettendo una fase di transizione più lunga per la cessazione dell’uso dei combustibili fossili?
Ma come disfarsi del 90-95% dei milioni di tonnellate di anidride carbonica emessi attualmente nell’atmosfera terrestre dalle fonti sopracitate ogni anno? Ove le condizioni geologiche lo consentono, sembra fattibile l’interramento nei pozzi delle miniere esaurite mille e più metri sottoterra o l’immersione nelle profondità marine. Tuttavia la verifica della assoluta sicurezza di tali procedure non può essere garantita se non in pochi casi, considerato anche che il confinamento geologico dell’anidride carbonica dovrebbe essere sicuro per migliaia di anni.
Una via radicalmente alternativa per risolvere il problema è quella di considerare l’anidride carbonica una “risorsa economica”, anziché un onere, ipotizzando che il valore sul mercato dei derivati ottenibili dal suo trattamento chimico-fisico possa ripagare le spese sostenute per produrli.
Istituti scientifici di tutto il mondo stanno lavorando su quest’ipotesi. Molti sono giunti a risultati positivi e attendono solo una verifica della fattibilità tecnico-economica a livello industriale dei loro progetti. Uno dei possibili derivati della CO2 è l’etanolo, ottenibile sfruttando l’energia solare. L’etanolo avrebbe molti possibili utilizzi, fra i quali quello di carburante. L’etanolo, bruciando, emetterebbe altra anidride carbonica, che rientrerebbe nel ciclo. Inoltre con ulteriori trattamenti chimico-fisici, potrebbe essere convertito in idrogeno, da più parti considerato il vettore energetico del futuro.
Negli Stati Uniti le principali associazioni che rappresentano gli interessi dei produttori di carbone, gas e petrolio hanno raccolto 20 milioni di dollari per premiare le aziende che dimostreranno di poter utilizzare l’anidride carbonica sequestrata dai gas di scarico delle centrali elettriche come risorsa economica da cui trarre un profitto (3).
(*) Architetto
NOTE
(1) La temperatura globale è misurata sulla media degli oceani e della terraferma. Un aumento medio globale di 1,5° potrebbe implicare un aumento medio di oltre 2.5° sull’Europa meridionale.
(2) “Mezzo grado in più aumenterebbe di due volte e mezzo la popolazione esposta a temperature estreme ogni cinque anni. Nel 2050 significherebbe esporre ben due miliardi di persone in più a impatti e condizioni estreme con il rischio elevato di migrazioni forzate di massa. La frequenza e l’intensità delle siccità nel Mediterraneo sarebbero considerevolmente più violente. Il livello dei mari si alzerebbe del 15 per cento in più, mettendo a rischio 10 milioni di persone in più. La riduzione dei raccolti di frumento nei tropici sarebbe due volte più devastante, così come il declino della pesca mondiale e dunque la sicurezza alimentare di milioni di persone che dipendono da essa. Il numero di estati in cui l’Artico perderebbe completamente i suoi ghiacci si decuplicherebbe, passando da un’estate libera dai ghiacci ogni 100 anni a una ogni 10 anni, alterando la circolazione degli oceani in modo considerevole. La perdita dell’habitat per le piante raddoppierebbe, quella degli insetti triplicherebbe, i coralli arriverebbero all’estinzione quasi totale. Si rischierebbe inoltre di superare soglie ecologiche che comprometterebbero la stabilità del pianeta in modo irreversibile.” – Italia e carbone: come uscire al 2025 in modo sicuro, giusto e sostenibile” – Luca Bergamaschi – Dic. 2018,
(3) Vedi in rete “ Carbon X Prize – Transforming CO2 into valuable products”. Il responsabile scientifico di uno dei concorrenti, Stuart Licth, professore di chimica della George Washington University, propone una tecnologia in grado sia di catturare l’anidride carbonica nell’aria che di convertirla in nanofibre di carbonio, cioè in un prodotto di pregio tale da garantire un profitto. Il processo viene alimentato con energia rinnovabile e il risultato è una netta rimozione di anidride carbonica dall’atmosfera. Le emissioni residue sono di puro ossigeno. I ricercatori calcolano che, con una superficie inferiore al 10 per cento delle dimensioni del Deserto del Sahara a disposizione, in 10 anni il metodo potrebbe rimuovere abbastanza anidride carbonica da riportare i livelli di anidride carbonica del pianeta a quelli preindustriali.
[…] da Mondohonline.com […]