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Il pianeta dei frigoriferi - 2a Parte

Riprendiamo l’intervista a Mauro Balboni sui contenuti del suo libro appena pubblicato  Il pianeta dei frigoriferi. Segnali dal futuro del cibo, un argomento caro all’autore che ne aveva affrontato aspetti e prospettive nel suo precedente lavoro Il pianeta mangiato.

Dopo aver evidenziato – nella prima parte – tendenze, problemi, sostenibilità, Balboni prosegue con scelte, soluzioni, ostacoli:

 

D. Il libro aiuta noi consumatori a fare scelte informate? In che modo?

R. Negli ultimi anni è scoppiato il «business della sostenibilità». Nel quale però i consumatori hanno bisogno di regole. Se ne è accorta anche la Commissione Europea che ha raccolto dati interessanti al proposito: almeno 200 schemi usati nella sola UE (in vari settori, non solo quello alimentare) per calcolare l’impronta ambientale dei prodotti; almeno 80 schemi di calcolo delle emissioni climalteranti usati internazionalmente. Spesso si tratta di metodi serissimi, sviluppati a livello universitario e sottoposti a revisione scientifica paritaria. Altre volte (secondo la UE almeno il 50% dei casi) si tratta di green claims (tradurrei con “pretese ecologiche”) messe sull’etichetta o la confezione alimentare senza troppe garanzie per chi compra. E senza garanzie che servano in effetti a qualcosa dal punto di vista ecologico o climatico. Il libro aiuta a comprendere queste situazioni e a mettere nel giusto contesto questi sforzi individuali, di per sé apprezzabili. Ma quanto risolutivi?

D. Abbiamo parlato dei problemi. Le soluzioni?

R. Quando arriva questa domanda, la tendenza è oggi quella di saltare subito a qualche conclusione preconfezionata. Quella che fa più comodo a ciascuno di noi: non mangiare più questo, mangiare solo quello e via dicendo. Ignorando che le nostre scelte individuali, per quanto condivisibili, non risolvono nulla se non raggiungono la scala necessaria attraverso le scelte della politica.  Il Pianeta dei frigoriferi ha l’ambizione di agevolare un reset generale del dibattito sul cibo: partiamo dai dati e mettiamo sul tavolo tutte le opzioni, senza preclusioni ideologiche. Usiamo tutte le risorse che abbiamo dove queste aggiungano valore: genetiche, chimiche, biologiche, biomimetiche, digitali, meccatroniche. Guardiamo anche a quello che abbiamo fatto di buono in passato (penso ai sistemi policolturali, rispetto alle monocolture, che potrebbero avere un ruolo nell’adattamento al cambiamento climatico). Non ci sarà una soluzione buona per tutti gli usi, ma molte componenti concorreranno alla soluzione.  Una cosa è chiara: dobbiamo produrre più cibo con meno risorse, a cominciare da quelle critiche come terra fertile e acqua e senza ulteriore danno ai servizi ecosistemici.

D. Vedi ostacoli?

R. In Europa prima di tutto culturali. Il dibattito sul futuro del cibo sembra oggi flesso all’indietro: torniamo a fare quello che facevamo “una volta”, in un buon tempo andato agreste in cui si sarebbe vissuti meglio e si sarebbe mangiato più sano. Senza che le statistiche demografiche, sociali e sanitarie lo confermino. Ma tutto quello che abbiamo visto prima sembra puntare verso un veloce e drammatico cambio di paradigma: abituati a pensare che il problema sia quello di mangiare senza qualcosa, potremmo trovarci presto davanti a scelte indispensabili per non rimanere senza mangiare. In questo contesto non aiuta il fatto che globalmente, secondo l’OCSE, meno del 10% dei miliardi di euro trasferiti ogni anno al settore sono dedicati all’innovazione. Serve una governance interdisciplinare, sia a livello nazionale sia a livello globale, sul futuro del cibo.

 D. Per chiudere, un messaggio di fiducia.

R. Il Pianeta dei frigoriferi è un inno alla fiducia. Per tutta la storia umana ci siamo appropriati di capitale naturale per produrre cibo: una maniera elegante per dire che da 10.000 anni deforestiamo per procurarci campi coltivati e pascoli. Ma prendiamo ora l’Italia: dal 1960 a oggi la superficie agricola è dimezzata, in compenso quella forestale è aumentata di milioni di ettari (portandosi dietro un ritorno della fauna selvatica, per certe specie prodigioso). Eppure gli italiani mangiano come non mai nella loro storia, al punto che oggi mangiano troppo e male (come dimostrano le drammatiche statistiche sull’aumento di sovrappeso e obesità, adulta e infantile). È quindi possibile disaccoppiare l’aumento della produzione agraria dall’aumento del consumo di terra. Bisogna però produrre di più e meglio sulla terra che ci è rimasta.

Serra sotterranea a Londra

Possiamo farlo. In effetti, l’abbiamo già fatto.

Ora dobbiamo guardare oltre i paradigmi conosciuti perché la sfida è più grande. Alcune opzioni oggi poco popolari (penso alle nuove proteine, alla produzione vegetale in verticale, e nel libro visito anche una serra sotterranea, alla combinazione tra biologia e digitale e via dicendo) tra una generazione saranno la normalità.

Tornerà tutto come era una volta? No, e per fortuna. I mangiatori del 2050 saranno abitatori della metropoli globale e non avranno che vaghe idee dell’agricoltura “di una volta”. L’importante è che il loro cibo sia coerente con le altre drammatiche sfide di oggi e domani: non solo sfamare il mondo ma mitigare il cambiamento climatico e salvare la biodiversità.

 

 

Per chi vuole saperne di più: Il pianeta dei frigoriferi. Segnali dal futuro del cibo (Scienza Express, 2022), fresco di stampa. 

 

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