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Sostenibilità: l’araba fenice di oggi? - 2a parte

– di Gabriella Campioni (*)

Tra le righe delle ricerche sulla sostenibilità attualmente in corso, per quanto lodevoli e impegnate, tuttavia leggo un tratto comune che, a mio personalissimo avviso, può inficiare i risultati. Mi riferisco ad un atteggiamento del tipo: “Terra, IO ti ho danneggiato, adesso IO ti medico”… Il che, ancor più tra le righe, dice che noi esseri umani e la Terra siamo separati, un concetto di cartesiana memoria. Non ci sentiamo elementi interagenti con il sistema: ci sentiamo “governatori” del sistema, dotati di un’intelligenza (e di un potere) superiori ai suoi. Salvo poi stupirci amaramente a fronte di un sisma, di uno tsunami, di un pandemia o semplicemente di un lungo periodo di siccità come l’attuale, anche se se ne parla poco o niente.

Tra l’altro questo “IO ti medico” si risolve spesso in pezze appiccicate qua e là su un tessuto ormai logoro. O, per lo meno, è il rischio che vedo quando sento parare di agricoltura sostenibile, architettura sostenibile, società sostenibile, eccetera. Mi sembrano ‘orticelli chiusi’ (hortus conclusus) che tengono in conto scarso o nullo il grande giardino – il sistema – di cui sono parte e al quale sono indissolubilmente legati. Posso coltivare organicamente il mio campo, ma non posso impedire che mi arrivino agenti inquinanti con gli insetti, con l’aria, con l’acqua…

Una vera sostenibilità deve avere, almeno come obiettivo, il quadro grande e lungimirante, vedere oltre ciò che cade sotto il proprio sguardo in quel dato momento.

                    La piramide di Maslow

Tutto ciò, a mio avviso, si applica anche a livello umano e sociale. Posso nutrirmi in modo sano e parlare di pace e fratellanza, ma nel contempo mettere telecamere ovunque, pretendere decreti sanzionatori, incarcerare chi commette reati, munirmi di porta blindata e inferriate… e potrei finire con il muovermi sempre meno o imparare tecniche di autodifesa per la paura del mondo “là fuori”. Gli stessi criminologi  sostengono che un paese o un rione cittadino sono sicuri quando sono vissuti, quando la gente si conosce e si parla, in tal modo creando un “sistema”, un po’ com’era con le case di ringhiera.  Serve, essendo venuto a mancare, rinfocolare quel senso di appartenenza che occupa un posto rilevante nella piramide dei bisogni fondamentali di Maslow.1

Si parla molto di disagi di varie fasce sociali: giovani, anziani, portatori di handicap, madri che lavorano… e per ognuna di esse si chiedono provvedimenti… per i quali i fondi non bastano mai. E se si cercasse di ottimizzare il rendimento di quei fondi “inventando” progetti intergenerazionali, come del resto prevedeva l’anno europeo 2012? Di progetti del genere, alcuni dei quali uniscono anche, ma non solo, la cura del territorio, in tal modo prendendo più piccioni con una fava, ne esistono. Basterebbe, almeno per cominciare, cercarli e sostenerli anziché focalizzarsi sempre e solo sulle manchevolezze lamentando che non si fa mai abbastanza.

Il succo di tutto il discorso di cui sopra vuol essere in prima battuta un messaggio molto sintetico che colgo al volo dal fisico quantistico Carlo Rovelli: “Il mondo non è fatto di sassi, ma di reti di baci.” Sta a dire che quello che conta di più non sono gli oggetti, ma le relazioni, direi meglio le interrelazioni. Lo dice la scienza più avanzata (e forse meno riconosciuta “accademicamente”), ma a me sembra molto logico e addirittura banale. L’ho sperimentato molte volte, nella mia vita, soprattutto quando implementavo certi progetti nel mio paesello. Quanto meno, anche con l ‘aiuto della tecnologia, occorre fare rete.

In seconda battuta, ma restando sempre nel messaggio di Rovelli, il succo del discorso sta nella parola “baci”. Non basta uscire dalla separazione uomo-natura, occorre sviluppare la dimensione affettiva, se non proprio (o non ancora) “sentirsi natura”. Se si amano le piante, gli animali, i luoghi, le cose e le persone, il know-how (comunque indispensabile) potrà raggiungere risultati migliori  senza, o con meno, effetti collaterali indesiderati. Senza contare che ci sarebbe meno bisogno di decreti o leggi corredati da sanzioni per gli inadempienti. E soprattutto si vivrebbe meglio: anche gli ‘addetti ai lavori’ che potrebbero trarne grande soddisfazione e piacere in ciò che fanno.

Pachamama, la divinità madre della Vita per le popolazioni andine.

Chi ha sempre questa relazione “affettiva” con la Natura sono i popoli  cosiddetti primitivi, tuttora guardiani devoti della “Pachamama” che però stiamo cercando di estinguere. Non si tratta certo di tornare a vivere nelle capanne, ma quel loro atteggiamento sì, potremmo recuperarlo.

Qualcuno, a simili discorsi, mi ha obiettato che è una questione di educazione (o non-educazione) ricevuta. Vero, ma perché dobbiamo sempre dare la colpa a qualcuno, col risultato di sentirci vittime impotenti e di perpetuare la situazione? Non potremmo decidere autonomamente di fare un passo fuori dalla comfort zone, ovvero dalle abitudini, anche di pensiero, acquisite e scegliere una vita più armoniosa? Secondo me, sarebbe un bel salto di dignità… e il riappropriarci di un potere.

 

 

 

(*) Educatrice – Istituto Cosmòs e MondoHonline

La prima parte dell’articolo è stata pubblicata il  22 aprile 2022

 

1 – Abraham Harold Maslow  è stato uno psicologo statunitense, principalmente noto per la sua teoria sulla gerarchizzazione dei bisogni, la cosiddetta piramide di Maslow.  

 

 

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